
L’11 maggio del 2019 si è svolta la 58esima Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia per la quale il Presidente Paolo Baratta ha scelto come curatore l’americano Ralph Rugoff, direttore della Hayward Gallery di Londra.
“May You Live in Interesting Times” (Che Tu Viva In Tempi Interessanti), questo il titolo scelto per la mostra da Ralph Rugoff con auspicio positivo ma certamente evocativo e quantomai profetico che, in tempi così difficili sembra voler mantenere un equilibrio tra piacere dell’occhio e impegno perché, suggerisce in un’intervista al Venerdì di Repubblica: “l’arte è più di una mera documentazione dei tempi in cui viviamo”.
Il titolo può essere anche letto come una sorta di maledizione poiché pare proprio evocare l’idea di tempi sfidanti e minacciosi. Sempre secondo Rugoff: “ci sono senza dubbio opere d’arte che riflettono sugli aspetti precari della nostra esistenza attuale, fra i quali a volte le minacce alle tradizioni e alle istituzioni. Tuttavia l’arte non esercita le sue forze nell’ambito della politica, non può fermare l’avanzata dei movimenti nazionalisti e dei governi autoritari, né può alleviare il tragico destino dei profughi in tutto il pianeta. In modo indiretto però forse l’arte può offrire una guida che ci aiuti a vivere e a pensare in questi tempi interessanti”.

Ralph Rugoff ha invitato 79 artisti provenienti da 90 paesi e tra questi ben 42 sono donne, compresi gli unici due nomi italiani presenti: Ludovica Carbotta e Lara Favaretto. Il curatore non ha volutamente scelto un tema specifico per questa Biennale Arte 2019 per la quale ha voluto mettere in evidenza una visione della funzione sociale dell’arte che includa sia il piacere che il pensiero critico.
“Everything is connected” dice Rugoff e, infatti, l’interconnessione è una costante ed è la predisposizione dell’arte stessa quella di mettere in collegamento tra loro fenomeni e piani diversi.
La doppia esposizione ideata da Ralph Rugoff, proposta A all’Arsenale e proposta B al Padiglione Centrale ai Giardini, si concentra sul lavoro degli artisti invitati che partecipano ad entrambe le mostre esponendo lavori molto diversi in ciascuna sede, i quali mettono in discussione le categorie di pensiero esistenti, aprendo ad una nuova lettura di oggetti e immagini, gesti e situazioni. Sempre secondo Rugoff: “ il loro lavoro ci invita a considerare alternative e punti di vista sconosciuti e a capire che l’ordine è ormai diventato presenza simultanea di diversi ordini”.
Per quest’ultima edizione della Biennale il Curatore ha voluto focalizzare l’attenzione sulla molteplicità delle diverse pratiche artistiche apportando un piccolo cambiamento al formato consolidato della mostra interna della Biennale dividendola in due presentazioni distinte.
Le opere esposte nelle due sedi sono piuttosto diverse in quanto mostrano i vari aspetti della pratica di ciascun artista con l’obiettivo di offrire al pubblico la possibilità di interpretare un tipo di opera alla luce dell’altra. Un esempio tutto italiano è quello di Lara Favaretto che vive e lavora a Torino e utilizza la scultura, l’installazione e l’azione performativa spesso con humor nero e irriverenza ma anche in modo ironico come ha fatto con l’opera “Snatching” esposta all’Arsenale, composta da una serie di blocchi rettangolari di cemento in cui l’artista si è immersa prima che si solidificasse rimuovendone una porzione e lasciando tracce di movimenti corporei vigorosi finché le è stato possibile. L’artista, per l’ingresso del Padiglione Centrale ai Giardini, ha invece ideato un’installazione intitolata “ Thinking Head ” (2017-2019), ispirata al funzionamento del cervello umano con particolare riferimento a quello di un gruppo di intellettuali, che durante il periodo dell’esposizione, si riuniscono all’interno di un bunker. Incontri clandestini in una location segreta per dare corso ad una dissertazione contemporanea sul “sapere indipendente” che emerge dalla riflessione relativa alle parole ritenute fondamentali dall’artista per il dibattito in questione.

In questa edizione della Biennale 2019 è stato consegnato il Leone d’Oro all Carriera a Jimmie Durham nato negli USA nel 1940, vive e lavora a Berlino. La sua pratica artistica si sviluppa attraverso l’utilizzo di oggetti di uso quotidiano e materiali naturali che, una volta assemblati, diventano sculture dalle forme intense dando vita ad un groviglio poetico che sfida il tradizionale concetto illuminista di separazione tra uno e natura come accade nell’opera “Musk Ox” del 2017, esposta all’Arsenale, composta da un’impalcatura rettilinea d’acciaio su cui sono stese coperte, maglie e giacche, un teschio sbiancato di bue senza un corno e con una mandibola scolpita nel legno grezzo. Al Padiglione Centrale è presente con l’opera “Black Serpentine”, creata per l’occasione e che consiste in una grande lastra di serpentinite nera sorretta da una struttura di acciaio inossidabile e accompagnata da un testo nel quale l’artista sottolinea il viaggio che questa pietra ha fatto dall’India a Berlino prima di arrivare a Venezia. L’opera allude al fatto che a causa dello sviluppo edilizio, l’Occidente ricorre all’utilizzo di pietre la cui estrazione è esternalizzata in Paesi non sviluppati e avviene per mano di lavoratori sottopagati.

Una menzione particolare va dedicata all’opera di Christoph Buchel “Barca Nostra” (2018-2019). Si tratta del vero relitto della nave che naufragò tragicamente nel Mediterraneo, il 18 aprile 2015, a 96 km a sud di Lampedusa. Il peschereccio era carico di migranti, quasi tutti rinchiusi nella stiva e nella sala macchine quando si scontrò con un mercantile portoghese che stava portando i soccorsi. Vennero date per disperse tra le 700 e le 1100 persone e vi furono solo 28 superstiti. Barca Nostra è un monumento collettivo commemorativo alla migrazione contemporanea dedicato non solo alle vittime ma anche alle politiche collettive che causano questo tipo di tragedie. Sempre all’esterno dell’Arsenale troviamo anche l’installazione “Monowe” (The Terminal Outpost) una torretta di avvistamento capovolta di Ludovica Carbotta, nata a Torino ma che vive e lavora a Barcellona. La forma espressiva della sua arte comprende scultura, disegno, performance, architettura e scrittura e ama ricreare luoghi immaginari o inserire luoghi reali in contesti fantastici, utilizzando l’immaginazione come mezzo di costruzione del sapere. Negli ultimi anni ha curato un progetto su larga scala suddiviso in capitoli dal titolo MONOWE, nome di una città immaginaria abitata da un’unica persona, in cui analizza l’isolamento come uno stato che porta ad abbandonare tutte quelle norme, regole e logiche date per scontate dalla società.

Alle Tese delle Vergini in Arsenale, il Padiglione Italia, sostenuto e promosso dal ministero per i Beni e le Attività Culturali, si presenta con il titolo “Né altra Né questa: La Sfida al Labirinto”. A questo progetto, a cura di Milovan Farronato, partecipano con lavori inediti e opere storiche tre importanti artisti italiani: Enrico David (Ancona, 1966), Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017) e Liliana Moro (Milano, 1961). Il titolo dell’esposizione prende ispirazione da – La sfida al labirinto celeste saggio – di Italo Calvino del 1962, in cui l’autore propone un lavoro culturale che possa descrivere la complessità di un mondo che ha perso ogni riferimento. Venezia è un labirinto che nei secoli ha affascinato e ispirato l’immaginazione di tanti creativi tra cui Calvino che elabora l’efficace metafora del labirinto come un insieme in apparenza disordinato ma che è, in realtà, costruito secondo regole rigorose. A partire dal titolo, che disorienta tramite la figura retorica dell’anastrofe, Né altra Né questa si avvale della struttura del labirinto per mettere in scena un percorso espositivo senza inizio né fine e aperto a interpretazioni parallele, in cui le opere esposte e l’allestimento stesso dialogano e si sovrappongono fino a formare un intrigo di linee, forme, pendenze che rispecchiano l’impossibilità di ridurre la conoscenza ad un insieme di traiettorie prevedibili. Il curatore, infatti, convinto che di solito gli spazi condizionino gli spettatori, con il suo allestimento vuole che essi abbiano la possibilità di compiere le loro scelte, assumendo un ruolo attivo nel determinare il proprio itinerario e mettendosi a confronto con l’esito delle loro stesse scelte. Non esiste il perdersi, ma solo il tornare sui propri passi. Il Padiglione Italia è stato realizzato anche grazie al sostegno di Gucci e FTP, main sponsor della mostra.

Grande interesse hanno riscontrato anche i 21 Eventi Collaterali della 58esima Esposizione Internazionale d’Arte ammessi da Ralph Rugoff e promossi da Enti e Istituzioni nazionali ed internazionali senza fini di lucro. Sono stati allestiti e organizzati in numerose sedi sparse per la città di Venezia e propongono una vasta offerta di contributi e partecipazioni che arricchiscono il pluralismo di voci che caratterizza la mostra della Biennale. Quest’ultima è diventata, negli anni, uno dei massimi punti di riferimento ed uno degli eventi più importanti a livello internazionale per quanto riguarda il mondo dell’Arte Contemporanea. Riconosciuta come uno dei maggiori e prestigiosi appuntamenti di arte, la Biennale non solo definisce le tendenze dell’arte ma anche le modalità della sua autorappresentazione attraverso le più diverse forme e i più vari messaggi.
Quando Ralph Rugoff ha scelto il titolo per la Biennale 2019 certo non si aspettava che sarebbe scoppiata una Pandemia. Questo evento contribuirà a cambiare il futuro dell’arte? Intanto ci auguriamo che questa non sarà davvero l’ultima Biennale.
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