
Quando Silvia mi ha chiesto di scrivere un articolo sui romanzi chick lit ho risposto con entusiasmo alla sua idea; poi, però, di fronte alla pagina bianca mi sono bloccata. Possibile? È un genere letterario che adoro, che leggo ormai da tanti anni, dovrei essere un’“esperta” in materia e invece: niente, nada, tabula rasa. Ragionandoci su, credo di aver capito quale fosse il problema: come si fa a spiegare qualcosa che ami, che ti regala sensazioni ed emozioni ogni volta diverse? È un po’ come l’arte: vi siete mai trovati a dover rispondere a qualcuno che vi chiede perché vi piace quel quadro o quella statua? Ebbene, per me è la stessa cosa: se qualcuno mi chiede perché mi piace leggere io ammetto di non sapere come rispondere. Leggo fin da quando ne ho memoria, per me è un’azione imprescindibile, potrei semplicemente rispondere: “io sono i libri che leggo”.
Una piccola premessa che sentivo in dovere di condividere con voi lettori, ma proverò comunque a darvi qualche chicca sul genere letterario chiamato appunto chick lit. Partiamo dalla definizione, cosa vuol dire in sostanza? È l’abbreviazione di chicken literature: letteratura per pollastrelle. Chick è un termine dello slang americano, che può apparire denigratorio, riduttivo e improprio, ma ormai è entrato a far parte del mondo editoriale e non si può far altro che accettarlo, provando a elevare questo filone, che in sostanza è un sottogenere dei romanzi rosa.

Voglio iniziare facendovi un esempio pratico: immagino che tutti abbiate visto almeno una volta Il diario di Bridget Jones, ma sapete che è stato tratto da un romanzo? Il libro della scrittrice inglese Helen Fielding è uscito nel 1995, un best seller mondiale che contribuì a fondare il chick lit. Quindi parliamo di un genere letterario piuttosto recente e il romanzo della Fielding ne è un esempio brillante.
“Chiamarsi Darcy e starsene tutto solo con aria sdegnosa a una festa mi ha subito colpita come una cosa abbastanza ridicola, un po’ come se, in Cime Tempestose, Heathcliff passasse tutta la serata in giardino a gridare “Cathy” e a sbattere la testa contro un tronco.”
Esistono caratteristiche ricorrenti alla base di questo tipo di romanzo: solitamente il personaggio principale è una donna dai trenta ai quarant’anni con un ottimo lavoro generalmente nel campo della moda, dell’editoria, della finanza. La protagonista può essere un po’ imbranata e pasticciona anche nella sfera sentimentale. Troviamo sempre un personaggio maschile che si innamora della ragazza, andando oltre le apparenze e accettandola con tutti i suoi pregi e difetti. L’intreccio segue quasi sempre lo stesso percorso: i due all’inizio si odiano, si scontrano, poi pian piano imparano a conoscersi e si innamorano. Quindi si susseguono equivoci e malintesi, ma tutto alla fine si conclude con un lieto fine. Non oserei paragonare questi romanzi ai classici romanzi di formazione, ma oso affermare che nel genere rosa solitamente si assiste alla crescita emotiva – spesso accompagnata anche a una crescita professionale – della protagonista, che si mostra sempre più sicura di sé e matura.

Dopo la Fielding c’è stato lo sbarco, nel campo editoriale, di un’altra scrittrice britannica, Sophie Kinsella con il romanzo I Love Shopping, che ha dato una notevole spinta al genere letterario chick lit. Questo romanzo è uscito nel 2000 e ha avuto un enorme successo di pubblico. La protagonista è Becky Bloomwood, giornalista economica e shopping addicted. Le lettrici si riconoscono in lei e il fine umorismo della Kinsella ne ha decretato il successo. Solitamente questi romanzi rosa sono autoconclusivi, ma nel caso di Becky Bloomwood ci sono stati ben nove seguiti, anche se gli ultimi hanno perso quel pizzico di novità ed effervescenza che avevano contrassegnato i primi romanzi.
“D’accordo: forse, a rigor di termini, non avevo esattamente bisogno di un paio di sandali color mandarancio. Non erano quel che si dice “essenziali”. Ma, mentre li guardavo, mi è venuto in mente che in realtà non stavo infrangendo la mia nuova regola, poiché il punto è che ne avrò bisogno. In fondo, prima o poi dovrò pur comprare altre scarpe, no? Ed è certamente più prudente fare scorta di un modello che piace anziché aspettare di aver consumato fino all’ultimo paio e poi non trovare niente di carino nei negozi. Mi sembra solo sensato. È un po’ come mettersi al sicuro sul mercato delle scarpe.”

Non esistono solo autrici straniere che scrivono e hanno successo in questo genere letterario. Abbiamo anche delle bravissime scrittrici nostrane: cito Federica Bosco (Mi piaci da morire, Cercasi amore disperatamente), Anna Premoli (Ti prego lasciati odiare, Come inciampare nel principe azzurro), Felicia Kingsley (Una Cenerentola a Manhattan, La verità è che non ti odio abbastanza), Anna Zarlenga (Quando l’amore chiama, io non rispondo, Spiacente, non sei il mio tipo). Esempi riuscitissimi di romanzi rosa ironici, esilaranti, ben scritti e di successo.
Vorrei concludere questo breve excursus nel mondo del chick lit portando alla vostra attenzione un fatto che forse vi scioccherà o magari – ed è ciò che mi auguro – vi indurrà a riflettere.
Ebbene, a mio modesto parere la precorritrice di questo genere finora prettamente femminile è Jane Austen.
“È cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie. E benché poco sia dato sapere delle vere inclinazioni e dei proponimenti di chi per la prima volta venga a trovarsi in un ambiente sconosciuto, accade tuttavia che tale convinzione sia così saldamente radicata nelle menti dei suoi nuovi vicini da indurli a considerarlo fin da quel momento legittimo appannaggio dell’una o dell’altra delle loro figlie.”
Questo è l’incipit del famoso Orgoglio e Pregiudizio, incisivo e sarcastico. La Austen è conosciuta per la sua sferzante ironia che colpisce la società borghese dell’Inghilterra dell’‘800, dove una ragazza di una famiglia bene aveva l’obbligo di sposarsi, di sottostare alle rigide convenzioni sociali. Nonostante nei suoi romanzi le eroine finiscano comunque per sposarsi, la Austen ha tentato, attraverso la sua penna, di combattere queste regole e di non uniformarsi a esse. Infatti, lei stessa non si sposò mai. Una femminista nel vero senso della parola, utilizzava l’unica arma che aveva a disposizione per prendersi gioco delle imposizioni della sua epoca.
Come dicevo, nei suoi romanzi, si possono riconoscere tratti comuni al genere rosa: ironia, prese in giro delle convenzioni sociali (pensate ai romanzi attuali, dove una trentenne ancora single viene additata come zitella), equivoci, scontri con i protagonisti maschili e lieto fine. Nei libri della Austen mancano, per ovvie ragioni, scene intime: a parte i baci, l’autrice non scendeva nei particolari, anche perché il sesso prima del matrimonio all’epoca non era concepibile; mentre, soprattutto nei libri delle autrici italiane, negli ultimi tempi si nota una tendenza a inserire scene di sesso piccante tra i protagonisti che possono durare anche diverse pagine: alcune lettrici apprezzano, altre meno, ma si tratta di una mera questione di gusti.

Nel mondo letterario si è discusso e ancora si discute sulla questione “romanzi rosa sì, romanzi rosa, no”, sul fatto che non si tratti di alta letteratura, ma di romanzetti di basso livello. E qui sta l’errore più grande: non pensate che sia semplice scrivere romanzi ironici, tutt’altro e non etichettiamo i lettori in base al genere che leggono, chi legge letteratura femminile non è detto che legga solo quello, ma soprattutto: non c’è assolutamente niente di male.
Ed ecco il mio consiglio: lasciatevi trasportare dalle atmosfere magiche, divertenti e rilassanti del chick lit. Pensate a questi libri come a una calda coperta che vi fa sentire al sicuro e amati.
“Sogno un uomo per il quale essere indispensabile, come l’aria che respira. Io voglio Reth che salva Rossella O’Hara in pericolo; voglio Jack che annega per Rose; voglio Romeo che si avvelena per Giulietta. Io voglio la favola. L’ho sempre voluta e so che se non smetto di crederci, alla fine la avrò.”
(Matrimonio di convenienza, Felicia Kingsely)
Scritto da Chiara Micozzi
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